Wednesday, April 20, 2011

Google ci salverà tutti

L'ha già fatto una volta, lo farà di nuovo. Google ci salverà tutti. Google è stato il Gutemberg dell'età moderna: il sapere accessibile a tutti, la chiave per leggere un intero escosistema di informazioni.
Sia chiaro, non bisogna mai amare il proprio carnefice: un'azienda è pur sempre un'azienda, e il profitto che fa lo realizza sulla nostra pelle. Il nostro potere di consumatori è comunque quello di scegliere il nostro carnefice, ed io ho scelto quello che più di ogni altro ha a cuore il Sapere.
Google ha due grandi rivali, al momento: Apple e Facebook. Di Apple si parlerà più avanti perchè merita una trattazione a parte, perchè il solo essere un rivale di Google non fa di quest'azienda il Male, anzi. Facebook no. Facebook è proprio il male.

Sia chiaro che sono contento che lo strapotere di Google sul Web sia finito: un monopolio non fa mai bene a nessuno di noi, soprattutto se si parla delle nostre identità virtuali. Ma una volta il Web era il luogo delle identità fittizie, dei soprannomi stupidi e con tanti numeri al fondo. Oramai in rete abbiamo tutti nome e cognome, residenza, vita. Come è cambiato tutto questo? Una volta per comunicare con i tuoi amici sul Web dovevi fornire loro una parola strana, l'indirizzo della tua mail, oppure il tuo nickname in un qualunque Instant Messenger, o quello di Skype, o l'indirizzo del tuo blog. La magia che ha fatto Facebook è stata di metterci tutti in riga per nome e cognome, una vera e propria trasposizione delle nostre vite online, con tanto di foto, amici e gusti personali (più tutte le attività che compiamo quotidianamente). Questo di per se non sarebbe un male, a patto di considerare Facebook per quello che è: l'evoluzione della posta elettronica personale, degli sms, del tam tam per far girare una festa tra amici. Dovremmo prendere il payoff di Facebook molto più sul serio: "qualcosa che ti aiuta a restare in contatto con le persone della tua vita". Punto.

Invece, lo scopo di chi sta dietro a Facebook è di indurre i propri utenti a limitare l'intera esperienza sul Web al recinto blu. Quello che c'è fuori è pericoloso. Qui dentro è un ambiente controllato. Se Google da un lato è stata la guida con il machete che ti portava a spasso attraverso la giungla di Internet, Facebook è più simile al giardino d'infanzia, con gli spigoli arrotondati. Ma non è di questo che volevo parlare.

Il punto cruciale è l'anonimato. Ovvero, Facebook è necessario, come sono necessari tutti i sistemi di comunicazione tra esseri umani. Il problema è che ci stiamo scordando dei pregi dell'anonimato, e non parlo solo delle questioni di privacy. Nel Web dei nickname ci si confrontava e si cresceva tra persone sconosciute, senza filtro perchè non si aveva nulla da nascondere, tutto il male che poteva succedere se lo sorbiva soltanto al nostro avatar. Da un lato questo ha prodotto comportamenti disdicevoli, è vero, ma non ha limitato l'esperienza online alla propria cerchia di amici: essere su Internet a quei tempi significava davvero essere cittadino del mondo. Su Facebook, adesso, si è tremendamente preoccupati di cosa pensano gli amici, si investe un quantitativo di tempo esorbitante ad interessarci degli altri, a fingerci a nostra volta interessanti con qualche link su youtube e qualche nota scritta qua e la. Per cosa? Per mantenere lo status quo, ovvero la propria cerchia di amici. Il Web una volta era confronto con nuove persone, ampliamento degli orizzonti, crescita personale. A me non me ne frega nulla delle canzoni che postano i miei amici. So già che hanno dei gusti terribili. Molto meglio un giro su Last.fm o su Goodreads per scoprire animi affini con cui dialogare.

Chiudo il post dando un consiglio a Google. So che Page e Brin passano di qui, ogni tanto, per cui li saluto. Google vuole lanciare il tanto agognato servizio di musica in streaming, una manna per noi appassionati, e sono convinto che faranno un disastro. Quando si parla di social, Google ha l'ansia da prestazione e fa cilecca. Allora, prestatemi orecchio, vi dico io come fare. È inutile cercare di spodestare Facebook dal suo ruolo di aggregatore: è grande e grosso, alla gente piace, funziona bene. Si può cercare, però, di essere il suo contraltare, il suo gemello buono. Immaginatevi un network anonimo. YourAnonymousNetwork.com. Si torna ai nickname. Con in più i veri dati di ascolto di musica, libri, blog, video e tutta la compagnia bella di servizi offerti da Google. I dati raccolti saranno anonimi (per la gioia dei suoi utenti) e sicuramente più veritieri di quelli di Facebook, dove la gente è sempre sotto lo stretto controllo dei suoi simili. Un network che ingloba Last.fm, Goodreads, IMDB, Blogger, Twitter, Youtube e tutto quello che vi passa per la testa. Tutto anonimo. Tutto disponibile per tutti.
Io non so voi ma farei carte false per iscrivermi ad una cosa del genere, un servizio che registra i tuoi gusti mano a mano e ti propone di volta in volta un film, un libro, un album, un tweet. E soprattutto: ti propone persone. Persone che magari vivono a Calcutta ma che magari ragionano come te. Una rapida googlata ed ecco un areo low cost per andarli a trovare. Le barriere che crollano. Un mondo finalmente unito.

Tuesday, April 19, 2011

Attaccamento

Un Dio onnipresente che ti guarda benevolo è la versione adulta di "Guarda papà, senza mani!"

Il tuo spazio vitale

Leggiamoci insieme questo bell'articolo di Repubblica e iniziamo a chiederci come mai le realtà più disordinate e caotiche portino (prevalentemente) alla crescita di individui gretti e sempliciotti. Dai, ok, ho esagerato. Però ricordate di quando ho scitto che gli stereotipi sono semplificazioni necessarie? L'articolo di Science citato da Repubblica ha perfettamente ragione a sottolineare che in un ambiente caotico, e quindi più imprevedibile, un numero maggiore di semplificazioni sono necessarie per il nomale funzionamento quotidiano. Dall'altro lato, sono convinto che crescere in un ambiente socialmente impegnativo come (semplifico) Napoli generi in percentuale individui più furbi e smaliziati, portati alla semplificazione e quindi all'intuizione, piuttosto che all'analisi. Parlando di luoghi comuni, non so se un napoletano sia più intelligente di un giapponese, certo è che il primo sarà più veloce a capire i meccanismi che sottostanno ad un certo fenomeno, o almeno a costruirne una propria interpretazione approssimata (che può anche essere errata), mentre il secondo effettuerà un ragionamento più critico, propenso a cogliere eventuali contraddizioni e meno influenzato dalle etichette che tutti noi abbiamo per contrassegnare dei ragionamenti esclusi a priori. Ho colto abbastanza nel segno? Spero di sì. L'importante è dunque non dare dei giudizi di merito, ma capire le regole che animano il flusso dei nostri pensieri.

Certo è che gli stereotipi e la semplificazione sono un'arma fondamentale della politica, e non mi riferisco soltanto alle propagande e alle elezioni, ma anche ai semplici dibattiti di confronto. Provateci voi a confrontarvi con un romano medio. Vi massacrerà con due battute sagaci fregandosene dell'argomentazione logica sottostante. Ha la perspicacia dalla sua, la furbizia, l'intuizione. E così nei dibattiti l'avrà vinta chi da sempre si arrangia perchè ha la mente più svelta, temprata dalle difficoltà. E questo ha le ripercussioni politiche che da vent'anni vediamo nel nostro paese: il gusto per la boutade, l'arraffa arraffa generale, l'espressione da furbetti della nostra classe politica. Tu guarda il Giappone, invece. Mezzo disastro nucleare e tutti che si danno da fare, che cercano di ristabilire l'ordine, che riprendono a vivere come sempre. Da noi duemila migranti sono l'ostacolo inaffrontabile che paralizza tutte le discussioni. Io non lo so quale delle due strutture organizzative sia migliore (quella giapponese, per dire, è asfissiante), mi limito a tracciare la forma, a seguire il disegno.

Un pensiero che mi porta spesso a riflessioni inconcludenti è chiedermi come mai le parti del mondo con il clima migliore siano anche quelle in cui la qualità dei servizi, secondo gli standard normalmente adottati, è anche al livello più basso. Non so se sia la tipologia dei suoi abitanti ad aver costruito città disorganizzate, e che queste poi abbiano influito sulla personalità dei loro abitanti, oppure se sia avvenuto il contrario. L'uovo o la gallina? Sta di fatto che c'è un circolo vizioso che bisognerebbe frenare. La mia mente va a Berlino, con le sue strade enormi, la sua precisione, i suoi polmoni verdi. O alla semplicità di un piatto di sushi. Io non so quale sia la soluzione migliore. Forse bisognerebbe vivere a Roma. Forse a Berlino. Io mi accontento di viaggiare.

Geolocalizzami questo

Se non lo sapete già, vi spiego io perchè i servizi di geolocalizzazione hanno senso solo negli Stati Uniti. La questione è semplice: non abbiamo una dannatissima scheda telefonica che funzioni in tutta Europa. Che senso ha usare Foursquare per taggarti dal giornalaio sotto casa? Vuoi che tutti sappiano quando passi a prendere una pizza da Tony Panini Buoni? O preferisci forse fare una foto geolocalizzata di te e la tua fidanzata sotto la Tour Eiffel illuminata a mezzanotte? Penso che la differenza sia tutta lì, così come dovrebbe farci riflettere che l'Europa Unita non riesca a mettere in opera dei servizi uniformati (conti correnti, abbonamenti telefonici, contributi statali, e probabilmente una decina di altre cose che i pendolari europei sentono di aver bisogno, ma che non si azzardano a chiedere) mentre invece è molto brava a far girare debito tra le varie nazioni e a litigare sulla questione immigrazione. L'Unione Europea è solo moneta unica e multe che ci tocca pagare per gli errori dei nostri politici? Non dovrebbe essere uniformazione delle carriere universitarie e libera circolazione dei cittadini, con servizi facilmente accessibili in tutto il continente? Qualunque servizio con una dicitura separata alla voce "estero" andrebbe completamente ripensato per limare la differenza che c'è tra l'estero-europeo e l'estero-estero. Anche se è più facile aspettare che la nozione di estero sparisca definitivamente. Quanto vogliamo tardare ancora?

Dico, o almeno suggeritemi un programmino per crackare la geolocalizzazione delle mie foto durante l'upload!

Once upon a time in the Mediterraneo

Mi ha sempre affascinato molto l'idea di come la civiltà Occidentale si sia costruita fondamentalmente sulle rive del mar Mediterraneo. L'Egitto, la Grecia, Troia, Cartagine e infine l'Impero Romano. Tralasciando per un attimo l'Impero Cinese e la bellissima civiltà Giapponese, in nessuna altra parte del globo esiste una storia così vivace e così intensa come quella che si è sviluppata a due passi da casa nostra, e questa è uno dei pochi balsami che mi calma le ferite dell'orgoglio quando penso ai problemi del nostro paese. C'è da chiedersi, quindi, come mai quando gli europei sono sbarcati nel continente Americano non abbiano trovato una civiltà altrettanto avanzata, senza per questo nulla togliere a quanto Maya, Aztechi e compagnia bella fossero evoluti. La cultura Occidentale, si sa, in un modo o nell'altro ha conquistato il mondo, e non sempre in virtù di una vittoria militare (Graecia capta ferum victorem cepit vi ricorda qualcosa?). Ora, se per caso qualcuno passa di qui e ha da suggerirmi un bel libro sull'argomento, kudos to you. Io purtroppo sono a digiuno di teorie in proposito, e mi devo arrangiare con le mie elucubrazioni.

A proposito di queste elucubrazioni, giusto l'altro giorno ero ospite da certi amici parigini che, bontà loro, sono la perfetta antitesi dell'antipatico francese d.o.c. Tra un bicchiere di crème de cassis e l'altro si parla di politica, dei nostri genitori che hanno fatto il sessantotto, di quali sono i nostri sogni per il mondo a venire. E così, tessendo un'idea che parte dalla democratica Atene, all'Italia dei comuni fino alle decine di microcomunità presenti nella Parigi moderna, si è materializzata sempre più concretamente l'idea delle nuove civiltà Glocal. La parolina "glocal" è un termine molto in voga in questi ultimi anni e può significare tutto e niente. Il mantra Think Global Act Local ha fatto capolino un po' in tutti gli ambiti, in particolar modo in quelli economici; mai, però, che sia stato ripreso dalle sfere della politica.

L'idea dietro al nostro ragionamento è semplice: ritornare ad una amministrazione del mondo su modello delle Città Stato elleniche o italiane. La differenza che ai giorni nostri farebbe la fortuna di questo modello è la libera circolazione del sapere, attraverso Internet o qualunque tipo di rete di telecomunicazione sia messa a disposizione dalla tecnologia. E adesso fermi, non datemi subito del federalista o del secessionista o semplicemente del mentecatto. Non voglio mettere in discussione l'unità nazionale o quella europea o quella occidentale. Va da sè che per i rapporti internazionali un organismo centrale è necessario e quantomai augurabile. Ma gestendo le singole realtà ad hoc si limerebbe una complessa sovrastruttura che altro non fa se non succhiare soldi a sbafo e limitare l'intervento dei cittadini nelle cose che li riduardano. All'interno della città noi possiamo partecipare, essere coinvolti ed avere accesso e controllo diretto sull'operato dei nostri delegati.

L'italia dei comuni di nuova generazione non degenererà nella dimensione globale finchè la comunicazione con il resto del mondo sarà libera, efficace e potenzialmente gratuita. Questo pensavo, più o meno, finchè non mi si è riproposta nella mente la domanda con cui ho aperto questo post: perchè la civiltà è nata proprio sulle coste del Mediterraneo? E piano piano i puntelli a supporto di un'idea sono andati formandovisi: ho visto un mare non molto esteso, facilmente navigabile, circondato da territori rigogliosi. Ho visto il traffico dei commerci, e con esso quello delle idee, e con esso quello dei pensatori. Ai tempi si andava a far l'Università matematica in Egitto e quella di filosofia ad Atene: altro che sedi universitarie distaccate! Il modello universitario americano è vincente perchè era già vincente 2000 anni fa. Ogni città greca era un cosmo a sè stante, tant'è vero che le colonie della Magna Grecia intrattennero rapporti con la nazione d'orginie solo per il commercio. La nascita dei grandi imperi ha sancito l'inizio della potenza militare e la fine dell'impegno politico, tanto per dirne una.

Il Mar Mediterraneo ha permesso l'evoluzione della civiltà così come la conosciamo: la sifda della navigazione ha stimolato la scienza (l'ignegneria nautica, l'astronomia, la matematica) e le numerose città che sono sorte nei suoi paraggi hanno dato luogo alla partecipazione sociale. Non dimentichiamo la storia, quando vogliamo costruire il futuro.

Tuesday, April 12, 2011

Don't be evil

Ovvio, noi esseri umani tendiamo sempre ad estremizzare. O sei col bene o sei col male. Ma sicuramente non siamo più nel milleottocento con i racconti dei cavalieri senza macchia e senza paura e dei cattivi così cattivi che ridevano sempre. Il mondo è a toni di grigio, e riesce incredibile pensare che abbiamo avuto nella nostra storia la pretesa di classificarlo in compartimenti stagni.
Non che ci sia nulla di male, sia chiaro: la stereotipizzazione è una caratteristica intrinseca del ragionamento, un'approssimazione necessaria per quelle miliardi di decisioni che compiamo nel corso della giornata. Lo fanno anche gli animali, giù nella scala evolutiva fino ai rettili: la reazione che si attiva spontaneamente nel gestire una situazione è sempre una valutazione positiva o negativa dello sato delle cose: un processo automatico. Approssimiamo per non dover perdere troppo tempo sui dettagli, per non dover considerare tutte le sfumature. Ci sono pazienti che sono privi dei marker somatici e che per fissare un appuntamento per prendere un caffè al bar ci impiegano oltre un'ora. Approssimiamo per essere efficienti. Ma anche per paura di sgretolare un pilastro sul quale si poggia un intero castello di congetture. Per cui, è molto più facile dare torto al nostro amico leghista su una qualunque questione, piuttosto che ragionarci bene sopra, scoprire che ha ragione. E forse, magari, iniziare a riconsiderare la propria posizione, rivedere interamente le proprie credenze, ricostruirci un'identità. Roba faticosissima. Roba che piuttosto lasci stare e continui solamente a leggere quei quattro o cinque blog che la pensano proprio come te.

Gli stessi oggetti di cui ci circondiamo, le persone che stimiamo, i nostri feticci personali, devono riassumere l'idea di chi siamo noi, per rafforzare i nostri stereotipi, per aiutare noi stessi ad identificarci. Fa quasi male sapere quanto bisogno noi abbiamo di identificare noi stessi: è un processo cruciale, ne va della nostra sopravvivenza. Dobbiamo sapere quali sono i nostri limiti e quali sono i nostri punti di forza per valutare effettivamente le azioni e gli obbiettivi che vogliamo intraprendere, se non vogliamo affrontare un insuccesso dopo l'altro. Paradossalmente, stereotipiamo noi stessi come e forse più degli altri. Per questo basta un personal trainer che ti fa il lavaggio del cervello e ti convince di essere un vincente per ubriacarti di nuove aspettattive di vita. Ma non fatelo, quella è l'autostrada a scorrimento veloce, e non si impara nulla viaggiando così.

Per cui siamo fieri dei libri che leggiamo, della musica che ascoltiamo. Delle marche che compriamo. "Le persone non comprano cosa fai, comprano perchè lo fai". Vogliamo identificarci con quell'oggetto, con quella mentalità, per sapere che noi siamo fatti così. Quanti di voi si rifiutano di leggere Dan Brown solamente per quello che rappresenta? O non ammetterebbero mai ad un amico di avere un CD di Avril Lavigne nella propria collezione? Non è tanto il giudizio degli altri quello che conta, ma quello che noi abbiamo di noi stessi. Abbiamo degli standard a cui conformarci, per poter far affidamento su di noi. Non vorremmo certo essere una persona del tutto imprevedibile. Come gestire, altrimenti, la propria vita?

Tutto questo casino, insomma, per dire che io sono con Google. Ciecamente con Google. Non proprio sempre sempre, è vero, in fondo sono un maledetto cinico come pochi. Ma la filosofia di un'azienda che dice di se stessa "Non essere cattivo" è un richiamo troppo forte per non rimanerne inevitabilmente attratti. E questa è una decisione che condiziona molte scelte future. Una di queste si chiama Apple. L'altra, Facebook. Prossimamente.

Wednesday, April 6, 2011

Potevo scegliere la strada più facile

È la terza volta che suona il telefono e ricevo una proposta di lavoro. Aziende cercano giovani e brillanti laureati nella zona di Torino.
I compagni con cui fumavo le sigarette tra un corso e l'altro si sono fermati tutti alla triennale un paio d'anni fa. C'è chi guadagna duemila euro al mese. Chi ha già il contratto a tempo indeterminato. A sentire gli amici delle facoltà umanistiche, dei miracolati.

Ora son lì che mi mordo la lingua mentre tutti mi dicono: fai come loro. Get a job, get a car, get a life. Genitori e nonni che mi volevano dottore in medicina, amici che si chiedono perchè non vado in vacanza con loro in Brasile. Io ho scelto. Sono masochista. Farò un dottorato*.

Musica.

(Poi, magari, qui si legge come andrà a finire)

*Neuroscienze Cognitive, tanto per essere precisi.

Ad ogni fine, un nuovo inizio

(dicono)